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Oltre l’Eden, il paradiso terrestre è per noi.

Immaginate di svegliarvi di colpo da un profondo e lungo sonno, e ritrovarvi nel giardino di qualcuno. Intorno a voi tutto un fiorire di vegetazione, di profumi inauditi e lente nuvole stagliate all’orizzonte, in lento movimento su di un fondo di sole dorato. Lontano, il rumore del mare e l’infrangersi delle onde in un vapore di salsedine così sottile da arrivarvi dalle narici direttamente al cervello. Alle vostre spalle, la maestosità delle montagne, a far da corona a questo splendido giardino creato a immagine e somiglianza del paradiso terrestre.

Ovunque animali bellissimi, tranquilli e indaffarati a condurre le loro vite, alla ricerca del cibo e di un luogo protetto dove crescere i loro figli. Totalmente indifferenti alla vostra presenza, considerata inoffensiva.

Bene, questo Eden è il pianeta terra, qualche centinaio di anni fa.

Prima dell’avvento delle casalinghe che fanno la spesa, del carbone e della fuliggine, delle macchine infernali e del progresso smodato.

Ci siamo trovati qui, come ospiti nel giardino, ben accolti in casa di qualcun altro.

Ora, immaginiamo di cominciare a distruggere tutto quello che sta intorno a noi, in questo bellissimo paradiso terrestre: dall’ambiente che ci circonda, alle creature animali che lo abitano, sino al saccheggio smodato di ogni possibile risorsa.

L’uomo, a questo punto, diventa il tumore, la cellula impazzita, di questo sistema perfetto. Da ospite a dominatore, da tollerato a pericoloso.

Il nostro comportamento antiambientale, sia contro il regno animale sia contro quello vegetale, è la cancrena generalizzata e contagiosa dell’organismo naturale.

Poco, come singoli, ci è dato di fare: quasi impossibile cambiare certi meccanismi, evitare percorsi indotti ed evitare di percorrere strade errate.

Una cosa su tutte, invero, è possibile realizzare, da subito: la presa di coscienza individuale. Accorgersi della devastazione e raggiungere la consapevolezza della stortura che abbiamo dentro e fuori di noi, coi nostri comportamenti contro la biosfera e contro tutti gli altri esseri, umani e animali.

Occorre realizzare un vero e proprio distacco dal modo in cui stiamo vivendo, attuare un percorso interiore umile e minimalista, al fine di realizzare la gravità dell’impatto di noi stessi -come attuale specie umana- sul mondo del quale ci dobbiamo sentire profondamente ospiti, e non dominatori.

Essere grati a questa vita, a questo ecosistema e a questo grande dono che abbiamo ricevuto, anche se non si sa bene da chi e perché.

Ognuno di noi deve prendere atto di questi presupposti, dimostrare riconoscenza agli animali che convivono e condividono con noi questa meraviglia, senza trucidarli per acconciarli sulle nostre tavole imbandite, e ognuno di noi deve avere rispetto per la natura e per i suoi frutti, senza violentarla con pesticidi, inquinamento e devastazioni geologiche.

Cominciamo da qui, dal nostro minimo comune denominatore: siamo tutti cellule, tutte uguali, tutte degne del medesimo rispetto, ognuno di noi collocato, per ora, in questo giardino paradisiaco, in questo breve tempo che ci resta da vivere, nel mare magnum della vita terrestre. Impariamo e pratichiamo il rispetto, tra di noi, e nei confronti degli altri esseri viventi.

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Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte!

Nell’immaginario collettivo le mucche sono degli animali che, per loro natura, producono sempre latte e quindi vanno munte 2 o 3 volte al giorno, sennò gli scoppiano le mammelle. Abbiamo in mente questi prati verdi di montagna dove le mucche scorazzano tutto il giorno, col sole ovviamente, e poi alla sera brave brave tornano da sole alla malga per farsi attaccare alle macchine e scaricare tutto quel latte che da loro molto fastidio. In realtà, compiamo una estorsione, un vero e proprio sfruttamento che si corona con il furto finale del latte. Le mucche “da latte”, infatti, sono una razza di mucche speciali: vengono selezionate geneticamente da anni e sono inseminate in laboratorio per produrre quanto più latte possibile per la nostra industria alimentare e, quindi, per la nostra tavola. Dall’età di circa due anni in poi, le malcapitate trascorrono nove mesi di ogni anno di vita in gravidanza. Finito il periodo di gestazione, nascono i vitellini che -pochi giorni dopo la nascita- vengono strappati alle madri con ovvie conseguenze traumatiche.  Affinchè questi cuccioli di mucca non bevano il prezioso latte, vengono rinchiusi in stretti box di legno, dove non si possono né coricare né muovere, e alimentati con sieri industriali privi di ferro ed altri minerali che ne altererebbero la chiarezza delle carni, una volta macellati. Ma lasciamo questi anemici vitellini al loro povero destino, che si compierà dopo appena 10 giorni di vita, e torniamo alla mucca che, a questo punto, è veramente piena di latte da mungere. Essa verrà munta per mesi e mesi, sottraendole il latte che era destinato ai vitellini, che a loro volta le sono stati sottratti appena nati. Con appositi ormoni ed altre diavolerie farmacologiche, verrà indotta a produrre sino a 10 volte la quantità di latte che avrebbe naturalmente prodotto per la sua prole, provocando inoltre mastiti dolorosissime ed altre patologie ossee, che arrivano anche a renderle zoppe ed incapaci di muoversi o di stare in piedi. Dopo soli 4-5 anni di vita in questo stato abominevole, una volta che non produce più tanto latte e che non riesce a stare in piedi, viene destinata al macello senza tanti complimenti. E se non riesce a camminare durante il trasporto, viene trainata per le zampe, con delle corde, che spesso provocano fratture, abrasioni e dolori lancinanti sino al box della macellazione. Allora, avete ancora voglia di bere latte, mangiare formaggi e gustare gelati a base di latte?

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